30/08/2010

Come essere un buon capo - Recensione

RECENSIONE SU “COME ESSERE UN BUON CAPO” Il manager tra crisi dei valori e formazione di Mario Brambilla, Gianni Bassi e Rossana Zamburlin Ed. Paoline, Milano, 2010.

Molti manager potrebbero chiedere: per quali motivi la psicologia nel lavoro? Fin dal 1920, data della prima ricerca in psicologia del lavoro è emerso l’esigenza della formazione psicologica. In questa ricerca si voleva dimostrare che migliorando le condizioni fisiche dei lavoratori migliorava il rendimento e così è stato. Gli psicologi per fare la controprova peggiorarono gradualmente le contraddizioni e il rendimento stranamente migliorava lo stesso: allora chiesero i motivi agli operai, i quali risposero che gli psicologi chiedevano la loro opinione cioè li coinvolgevano nella ricerca, il che dimostrò che non solo il miglioramento dell’ambiente fisico, ma anche il dialogo, il rispetto, l’ascolto e il coinvolgimento nel progetto migliora il rendimento. Per questo motivo noi riteniamo che i manager possano attrezzarsi per svolgere colloqui formativi e riunioni di gruppo: questi e altri strumenti metteranno i collaboratori, i dipendenti e i clienti nelle condizioni ottimali di creare benessere. Una recente statistica sottolinea che il 50% dei capi ha difficoltà relazionali e non ne è cosciente, cioè proietta su collaboratori, dipendenti e clienti le proprie disfunzioni, i quali rispondono con maggiore assenteismo per malattia, alienazione e demotivazione e quindi scarso rendimento, mobbing, ecc.. In questo senso la formazione psicologica costa, ma fa risparmiare…  Altri manager potrebbero chiedere: la psicologia e management sono complementari o conflittuali? Noi siamo dell’avviso che il manager oggi non possa fare a meno della formazione psicologica, che non è come spesso si crede una serie di lezioni, che spesso non vengono interiorizzate e quindi non applicate. La formazione si fa in piccolo gruppo, da 5 a 12 persone, e ogni contenuto psicologico, economico e spirituale va elaborato e introiettato profondamente grazie al contributo di tutti: il manager non è passivo ma contribuisce attivamente nella formazione di se stesso e degli altri partecipanti… Altri manager potrebbero segnalare che ci sono dei preconcetti e pregiudizi rispetto alla psicologia da rimuovere e rivedere. In un certo lavoro formativo svolto dalla nostra equipe in un ente con la dirigenza, altri collaboratori criticarono l’iniziativa come se il gruppo dirigente fosse “patologico” e fosse arrivato “alla frutta”. La psicologia nel lavoro non è ricerca delle patologie dei manager ma è educazione delle relazioni e delle emozioni per migliorare l’unità del gruppo, per collaborare meglio nel raggiungimento degli obiettivi concordati… Altri potrebbero chiedere cosa e come innovare la mentalità e la cultura del manager. Come è ben chiarito nella prima parte del libro non siamo più nel periodo storico che “gli affari sono affari”, il che voleva dire che le questioni morali ed ecologiche e i bisogni delle persone ( collaboratori, dipendenti e clienti) non dovevano disturbare il profitto, che quindi era l’unico criterio… Oggi il manager, se vuole essere culturalmente all’avanguardia, integra gli aspetti spirituali ( Benedetto XVI ha detto che senza Dio l’economia si perde…), con gli aspetti economici, con gli aspetti psicologici, con gli aspetti ecologici e per far ciò c’è bisogno della formazione interdisciplinare, in quanto tradizionalmente tutti questi aspetti erano scissi… Dalla psicologia si pretendono nuovi imput e nuovi slanci per autoinnovarsi e rinnovare le dinamiche operativi. Infatti la psicologia dà gli strumenti affinché gli individui e il gruppo di lavoro facciano emergere il grande potenziale che ognuno ha e che vuole mettere a disposizione del gruppo: si pensi solo al brainstorming ( “stornare il cervello” ), che è essenziale nei gruppi creativi dediti alla pubblicità, i quali devono continuamente creare nuovi imput ( la pubblicità non può essere sempre la stessa perché annoierebbe il pubblico… ). La crisi dei manager oggi è una opportunità di cambiamento culturale: come è fallito il modello comunista, così è in crisi il modello capitalista. La dottrina sociale della Chiesa si dimostra la terza via. È ancora vista come utopica e difficilmente applicabile, ma se riusciremo grazie alla conversione dei cuori e alla formazione interdisciplinare a dimostrare che è l’unica in grado di dare risposte alle esigenze di moralità e giustizia sociale ( queste esigenze si stanno dimostrando urgenti ), allora si potrà realizzare. Il deficit di formazione si evince dal malessere presente nelle aziende: le persone non si sentono coinvolte negli obiettivi dell’azienda, anziché collaborare c’è una conflittualità distruttiva, il morale è basso, il potenziale creativo è sottoutilizzato, non si sentono parte della mission e della vision, non c’è fiducia nei manager ( si pensi alle recenti proteste in Francia in cui i manager venivano sequestrati… ), c’è troppo autoritarismo, individualismo e competizione anziché lavoro di squadra. Tutti questi segnali servono al manager per attuare dei cambiamenti e la formazione psicologica è uno strumento per creare un cambiamento vero e profondo.