14/03/2019

Triptorelina e disforia di genere. Problemi e prospettive in vista della decisione AIFA

Fonte: Scienza & Vita e Centro studi Rosario Livatino

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1. Premessa. A breve l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) deciderà in ordine alla possibile somministrazione, sotto stretto controllo medico, della molecola “triptorelina” (TRP) ad adolescenti affetti da Disforia di Genere (DG), allo scopo di procurare loro un blocco temporaneo, fino a un massimo di qualche anno, dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò “alleggerisca” in qualche modo il travagliato percorso di definizione della loro identità di genere. Il 13 luglio 2018 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha approvato un parere etico su richiesta dell’AIFA, con un voto contrario, accompagnato da una postilla critica tra i componenti: il parere, limitatamente ai casi in cui altri interventi psichiatrici e psicoterapeutici siano risultati inefficaci e con la supervisione di un’equipe medica specialistica, valuta eticamente accettabile tale prescrizione off label (con indicazioni diverse da quelle autorizzate) della triptorelina, mantenendo come punto di riferimento primario la reale e grave sofferenza delle persone (in questo caso, soggetti adolescenti) interessate da DG. Il 21 settembre u.s. Scienza & Vita e il Centro studi Rosario Livatino, che all’indomani del parere del CNB avevano espresso riserve sulle conclusioni cui il medesimo era pervenuto, si sono incontrate in un workshop a più voci dedicato al tema, nel corso del quale hanno discusso e approfondito i profili di ordine scientifico e giuridico della questione, prendendo le mosse dalle relazioni introduttive di due componenti del CNB, uno dei quali ha votato il parere mentre l’altro ha redatto la postilla a sostegno della posizione contraria. Le considerazioni che seguono rappresentano una sintesi ragionata dei lavori.

2. Si pone anzitutto una questione di metodo. Prima di essere messo in commercio ogni farmaco attraversa un complesso iter di sperimentazione, al fine di valutarne l’efficacia e la sicurezza. Nel caso della triptorelina mancano sia gli studi clinici, sia i follow-up a lungo termine per evidenziare eventuali rischi a seguito della sua prolungata somministrazione. E’ quanto viene messo in evidenza nella letteratura scientifica, non da ultimo anche in un contributo di Chew e coll. del 2018. I dati ottenuti nei soggetti adulti (ad esempio, per il trattamento del cancro della prostata) o nei bambini con pubertà precoce, non sono trasferibili tout court in una popolazione diversa per età pre-adolescenziale e per indicazione (blocco della pubertà fisiologica). La consistenza della letteratura scientifica a sostegno appare in realtà carente. Come ricordato nel documento del CNB, l’uso autorizzato della triptorelina (TRP) è anzitutto per la pubertà precoce, cioè per interrompere una “pubertà patologica” (per esempio per bambini molto piccoli, 7-9 anni), mentre l’uso off label per disforia di genere (DG) è per interrompere una “pubertà fisiologica” (per preadolescenti, intorno ai 12 anni). L’efficacia della TRP nella DG andrebbe inoltre valutata non rispetto alla interruzione della pubertà, ma rispetto alla risoluzione della condizione di DG stessa, cioè alla non conformità fra il genere “percepito” e il sesso di appartenenza. L’efficacia va cioè “misurata” in quanto funzionale al raggiungimento dell’accettazione di sé, al termine di quello che potremmo chiamare “percorso di verifica della propria identità sessuale” e, successivamente, nel corso della vita. Questo implica anche stabilire in che modo misurare “l’accettazione di sé”, per poter valutare se effettivamente questa è in armonia con la totalità del proprio essere. Ne consegue che non appare corretto assumere i risultati degli studi del blocco di una pubertà “patologica” mediante TRP (dei quali si dispone di ampia letteratura scientifica) come validi anche per quello di una pubertà “fisiologica”, come spesso invece riporta la letteratura di settore. In ordine alla corretta valutazione dell’efficacia della TRP rispetto alla DG, la letteratura scientifica mostra un caso singolo, con un follow up dopo ventidue anni dal trattamento. L’unico altro studio significativo disponibile in letteratura è uno studio olandese su 55 giovani transgender, con un follow up ad almeno un anno dopo l’intervento chirurgico. Gli stessi autori, pur giudicando molto positivamente i risultati ottenuti, sono consapevoli delle complessità in campo e ribadiscono che si tratta di dati preliminari. In queste condizioni non è possibile parlare di evidenze scientifiche. Sempre Chew e coll. sottolineano come il trattamento con GnRHa, classe farmacologica a cui appartiene anche la TRP, non ha avuto effetti significativi sui sintomi di DG. §
L’uso della TRP per DG implica la possibilità che, sempre in minore età, gli adolescenti trattati possano avviare una transizione verso l’altro sesso; dalla pur scarsa letteratura si evince che la quasi totalità degli adolescenti trattati imbocca effettivamente questo percorso. Per correttezza scientifica, andrebbe allora presa in considerazione l’efficacia del trattamento al termine del percorso, a maggior ragione quando iniziato in minore età, rispetto allo stesso percorso iniziato in maggiore età (e quindi senza l’uso della TRP). Per ora, i dati esistenti sull’esito del SRS (Sex Reassignment Surgery) hanno una perdita al follow up del 70% delle persone trattate, e comunque quelli disponibili mostrano che i tassi di mortalità per tutte le cause – compreso il suicidio – sono generalmente molto più elevati rispetto a quelli della popolazione in generale.

3. Nel merito, la motivazione principale che il CNB adduce a favore dell’uso off label della TRP è la sofferenza del minore con DG, soprattutto per il timore di comportamenti autolesionistici e di intenzioni suicidarie. Ma non vi è alcuna evidenza scientifica che quello con TRP sia il trattamento elettivo per queste situazioni. Secondo chi propone il trattamento, il blocco della pubertà ha lo scopo di consentire una diagnosi più precisa e di capire il livello di persistenza della DG. Il punto non risolto, però, è se la somministrazione di TRP cristallizzi o meno il quadro clinico, stabilizzando l’identificazione del/della ragazzo/a nell’altro sesso e non consentendo la strutturazione di un’identità sessuale secondo il proprio sesso di appartenenza. Questo aspetto – del tutto sottovalutato – va preso in considerazione, tenendo anche conto del ruolo che gli ormoni sessuali hanno nello sviluppo cerebrale durante la pubertà. In altre parole, il blocco della pubertà e – quindi – anche degli ormoni sessuali potrebbe compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono alla strutturazione dell’identità sessuale insieme con i fattori ambientali ed educativi.
L’uso della TRP per bloccare la pubertà può protrarsi fino a 4 anni circa – dai 12 ai 16 anni d’età –, un periodo molto lungo durante il quale continua lo sviluppo psicologico/cognitivo, in un corpo bloccato a uno stadio pre-adolescenziale. Si induce quindi farmacologicamente un disallineamento fra lo sviluppo fisico e quello cognitivo. Ma se si sopprime la spinta degli ormoni nativi, cosa avviene nelle relazioni con gli altri, in una pubertà così manipolata? Con un corpo bambino e una psiche più adulta, per anni, confusi di per sé e fuori dall’evoluzione fisiologica ormonale, come possono questi ragazzi non sentirsi sempre più diversi dai pari? Come valutare questo scarto nella maturazione della persona? Che conseguenze può avere nel vissuto e nella percezione di sé? Come è possibile in queste condizioni di non appartenenza a nessun genere, “esplorare la propria identità sessuale”? Rispetto a quale ipotesi si verifica e si esplora, in assenza di un corpo sessuato, cioè in assenza dell’espressione fisica della propria identità sessuale, se non a un immaginario? Si registra inoltre una elevata co-morbilità associata alla DG. Come è possibile stabilire il rapporto fra causa ed effetto, se non si procede prima almeno a curare le co-morbilità (ex. depressione, ansia, istinti suicidari, disturbi dello spettro autistico, etc.), per individuare con una ragionevole certezza la DG come causa primaria? Il problema si pone poiché la DG viene presentata spesso come “sentirsi in un corpo sbagliato”, ipotizzando quindi corretta la percezione di sé, della propria identità sessuale: l’uso della TRP lavora su questa ipotesi. Un’ipotesi, appunto, non un dogma. Pertanto va prima esclusa la possibilità inversa, cioè che sia la percezione di sé ad essere inadeguata: va escluso cioè che alla base ci sia un problema più vasto o diverso, riguardante la propria identità, mentre il corpo è “giusto”.
Va infine ricordato che anche i dati sull’effetto a lungo termine della TRP sulla fertilità sono noti solo per il suo uso nella pubertà “patologica” e non “fisiologica”, e quindi attualmente non ci sono evidenze sull’effettivo pieno ripristino della fertilità nel caso di desistenza dal trattamento e di permanenza nel sesso di appartenenza. Nel caso in cui si voglia continuare un percorso di transizione – come sembra avvenire nella grande maggioranza di chi opta per il blocco della pubertà – si va verso una sterilità certa, a meno di provvedere alla preservazione della fertilità mediante crioconservazione dei gameti, quando lo sviluppo puberale raggiunto lo consenta. Vanno cioè informati il minore e la famiglia che, a seconda dello sviluppo fisico raggiunto, si può presentare l’opportunità di mantenere le proprie potenzialità procreative mediante congelamento previo di seme maschile o ovociti, e potendo essere quindi in futuro, eventualmente, allo stesso tempo madre biologica/genetica (la letteratura riporta anche casi di maternità gestazionale) e padre sociale/legale – nel caso di FtM (Female to Male transition) – o viceversa padre biologico e madre sociale/legale – nel caso di MtF (Male to Female transition). A tal proposito, va – però – sottolineato che, data l’età dei soggetti, il percorso che viene indicato è la crioconservazione dei tessuti ovarico e spermatico. La possibilità di collezionare ovociti richiederebbe, infatti, il trattamento di stimolazione ovarica nella ragazza, strada non percorribile a questa età; nel ragazzo, si dovrebbe ricorrere al prelievo del seme mediante masturbazione il che potrebbe esacerbare ancora di più quel disagio già forte legato alle modificazioni puberali. Dall’altra parte, il reperimento di tessuto ovarico e spermatico richiederebbe un intervento chirurgico, ovvero un intervento invasivo che non solo non trova una indicazione medica ma che può essere anche causa di gravi effetti collaterali.

4. La questione del consenso. E’ doveroso chiedersi quanto un minore con DG e la sua famiglia possano valutare consapevolmente e liberamente tutto questo, vista la scarsa consapevolezza di adolescenti e preadolescenti circa le proprie potenzialità procreative. Il parere del CNB, pur evidenziando l’importanza di ottenere dal minore un consenso libero accompagnato dalla consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche dell’adolescente, non offre, come è ovvio, soluzioni in merito a ‘se e come’ il minore possa esprimere una volontà valida, pur evidenziando che “un punto critico bioetico è la partecipazione e il consenso al programma terapeutico dell’adolescente. Nella somministrazione del farmaco va considerata la condizione di particolare vulnerabilità degli adolescenti sotto il profilo psicologico e sociale. Si pone, dunque, il problema in quali termini un assenso di un minore possa essere espresso in modo realmente libero, valido, senza interferenze esterne, e con la consapevolezza delle informazioni ricevute, per questo caso e in queste condizioni, nelle quali, tra l’altro, la DG, come già ricordato, si accompagna spesso a depressione, ansia, istinti suicidari”. Talché appare “importante ottenere dal minore un consenso espresso in modo libero e volontario e con la consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche dell’adolescente”. La relazione di presentazione a firma del Presidente del CNB sottolinea che:

    “La condizione di DG può accompagnarsi a patologie psicologiche e psichiatriche (…) spesso correlate a stigma e discriminazione sociale”,
    il trattamento è finalizzato alla “sospensione dello sviluppo puberale dell’adolescente di rallentare e/o bloccare lo sviluppo delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie”,
    è “importante ottenere dal minore un consenso espresso in modo libero e volontario e con la consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche dell’adolescente”.Anche AIFA indica, tra i criteri di inclusione, l’espressione, da parte del minore, di un consenso “libero e valido” e, correlativamente, tra i criteri di esclusione ‘l’incapacità di esprimere consenso”.
    Premesso che parlare di consenso non è esatto, essendo questa fattispecie collegata alla capacità di agire che viene raggiunta al compimento della maggiore età e che per il minore si può a limite parlare di “assenso”, quanto sopra riportato pone i seguenti interrogativi:
    un minore in età prepuberale che si trovi in una ‘condizione frequentemente accompagnata da patologie psichiatriche, disturbi dell’emotività e del comportamento.’ può esprimere un consenso?
    come possono i professionisti del settore garantire che il consenso di un pre-adolescente, affetto da DG, sia “libero e volontario”?
    che cosa accade se i genitori vogliono accedere alla “cura” e il minore no, o il contrario, o, ancora, in caso di contrasto fra genitori?
    può il genitore (o il tutore) esprimere l’assenso a un atto di disposizione del corpo altrui?La portata di tali interrogativi fa sorgere un ulteriore quesito: fra i poteri di AIFA, autorità amministrativa con competenze delineate dal quadro normativo europeo e nazionale, rientra pure quello di affrontare e risolvere questioni di tale rilievo, che coinvolgono beni che hanno fondamento nella Costituzione, e prima ancora in Convenzioni internazionali ed europee, oltrepassando ampiamente la portata e i confini della mera autorizzazione al commercio di un farmaco?
    E’ ben noto invero che l’ascolto del minore, nei giudizi o procedure amministrative che lo riguardano, è previsto dalla normativa internazionale (art. 12 della Conv. delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, New York, 20/11/1989, ratificata in Italia con la legge n. 1761991; art. 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli Strasburgo, 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con la legge n. 77/2003), oltre che da quella interna al nostro sistema giuridico: cf. artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies, cod. civ.). Tuttavia, la volontà espressa dal minore durante la procedura di ascolto non ne comporta necessariamente la coerente esecuzione, dal momento che il Giudice deve sempre perseguire l’interesse superiore di quel minore, quale obiettivo reale ed ultimo.
    La recente legge n. 219/2017 – sul consenso informato e sulle DAT- disposizioni anticipate di trattamento – prevede, all’art. 3 co. 2, che occorre tener conto “della volontà della persona minore”, ma subito esplicita che va mantenuto come “scopo la tutela della salute psicofisica e della vita”, così evidenziando che la volontà espressa dalla persona minore non è cogente. L’art. 1 della legge, peraltro, sottolinea che il diritto di essere informati presuppone una comunicazione comprensibile, completa e aggiornata, idonea a consentire una adeguata valutazione dei rischi e dei benefici.
    Un rapido excursus sul nostro ordinamento evidenzia che il minore, salvo in alcuni, specifici casi previsti dalla Legge, non ha capacità di esprimere una volontà idonea a determinare effetti giuridici. L’ordinamento italiano, salve rare eccezioni previste per legge, consente al soggetto di esprimere in modo pieno e consapevole una volontà che abbia conseguenze giuridiche solo al compimento del diciottesimo anno di età. E’ da quel momento che si acquista la capacità di agire, cioè l’attitudine all’esercizio dei diritti e degli obblighi di cui ciascuno diventa titolare al momento della nascita. Il minore non può contrarre matrimonio (se non in casi eccezionali, a seguito di ‘emancipazione’, concessa dal Tribunale), adottare, testare, compiere atti di disposizione patrimoniale, firmare contratti, sottoscrivere atti di transazione, sottoporsi ad un tatuaggio, ecc. Solo dopo l’acquisizione della capacità di agire la persona può porre in essere atti giuridicamente validi anche relativamente a quei diritti definiti personalissimi, perché talmente afferenti e immanenti alla persona e diretti ad attestare e garantire esigenze di carattere esistenziale, da non poter essere validamente esercitati da terzi.
    Circa i diritti personalissimi, va ricordato quanto il Costituente si sia spinto verso una tutela dei diritti inviolabili dell’individuo che lo Stato è tenuto a garantire sopra ogni altro interesse e senza alcuna possibilità di affievolimento: in primis con l’art. 2 della Costituzione, sede ove questi diritti trovano la loro più piena tutela. Il verbo utilizzato nel corpo dell’articolo (‘riconosce’), sottolinea che lo Stato non ritiene di poter attribuire (né conseguentemente, affievolire) tali diritti; essi sono difesi e custoditi dal codice civile (ad es: artt. 5-10), dal codice penale (ad es: delitti contro la persona), oltre che da leggi complementari.
    I diritti della personalità appartengono all’essere umano come un unicum inscindibile, e tra essi vi è il diritto all’integrità fisica. L’art. 5 c.c. disciplina gli atti di disposizione del proprio corpo, vietandoli se determinanti una diminuzione permanente dell’integrità fisica o altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, in un sistema collegato con l’art. 2043 e le sanzioni penali per i delitti contro l’integrità della persona. Interventi lesivi della propria integrità fisica sono specificamente ammessi dalla legge (C. Cost. 4.7.2006, n. 253); esempi: la L. 26.6.1967, n. 458, che consente di disporre a titolo gratuito del rene al fine del trapianto; la L. 16.12.1999, n. 483, che ammette  atti di disposizione a titolo gratuito di parti del fegato al fine del trapianto tra persone viventi; la L. 14.4.1982, n. 164 che permette la modifica dei caratteri sessuali con trattamento chirurgico, previa autorizzazione del Tribunale, necessaria perché il medico non può rimuovere un organo intatto e in buone condizioni di salute. In tutte queste ipotesi l’atto dispositivo – revocabile fino al momento precedente l’intervento – deve essere libero e gratuito, deciso da persona maggiorenne e capace d’intendere e volere, resa consapevole dei possibili rischi.
    Come si coniuga tutto questo con la condizione dei minori, in quanto tali incapaci d’agire? Di regola interviene l’istituto della rappresentanza: il consenso del minore viene espresso dai genitori o da chi ha la rappresentanza legale. L’incapacità all’espressione di un consenso valido da parte del minore, è sottolineata, fra le altre, dalla disciplina del consenso al rapporto sessuale da parte del minore: esso non costituisce un’esimente per la previsione delittuosa, quando il minore  non abbia compiuto gli anni quattordici o anche i sedici, ove il maggiorenne sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza. Sul tema di recente Cassazione penale (sez. III, n. 23205 del 23 maggio 2018) ha affermato che il reato di atti sessuali con minorenne si configura anche se l’adulto non esercita alcuna pressione psicologica sul minore per costringerlo ad avere rapporti: ciò in quanto la tutela ha per oggetto l’integrità psico-fisica del minore, per garantirgli il corretto sviluppo della sfera sessuale, non la sua libertà di autodeterminazione. Non rileva quindi che il minore sia consenziente e si dimostri emancipato al punto da sollecitare i contatti sessuali.
    Essendo quindi evidente che il minore non può esprimere un consenso libero e volontario, tale da indurre il legislatore a considerarlo cogente e determinante, se non in casi espressamente previsti per legge, il quesito proposto da AIFA porrebbe l’incapacità di esprimere il consenso tra i criteri di esclusione della procedura di somministrazione del farmaco che sospende lo sviluppo puberale del soggetto (Quesito AIFA, pag. 10).
    Va aggiunto che in ambito sanitario, la volontà del minore è determinante solo in casi particolari, espressamente previsti dalla legge. In tali ipotesi il medico, su richiesta del minore, può procedere all’atto sanitario a prescindere dal consenso o dissenso e anche all’insaputa dei genitori o del tutore. Si tratta delle seguenti fattispecie:
    legge 194/78 in tema di contraccezione e interruzione di gravidanza, quando vi siano “seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà, oppure qualora queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri difformi” è previsto l’intervento del giudice tutelare;
    legge 685/1975 e poi dal DPR 309/1990 a proposito delle terapie di cura della tossicodipendenza e del diritto di anonimato;
    legge 837/1956, e regolamento di attuazione emanato con d.p.r. 27 ottobre 1962, n. 2056 circa l’accertamento di malattie sessualmente trasmissibili (AIDS – infezione da HIV) e il diritto alla riservatezza sui risultati;
    legge 219/2017 nei termini prima indicati.Il consenso del minore deve comunque essere preceduto da un’attività di informazione accurata da parte del medico, che deve coinvolgerlo nella consapevolezza di agire solo per il bene del paziente. Così, il minore non potrà essere oppresso da una responsabilità superiore alle sue forze; Cassazione, sez. III civ., 20885/2018, si è espressa in tema di danni alla salute e lesione del consenso informato chiarendo, a proposito della responsabilità medica, la distinzione tra danni alla salute e danni derivanti dalla lesione del principio del consenso informato. Davvero delicata sarà dunque l’attività del medico che dovrà, prima di procedere alla somministrazione della TRP, garantire di aver fornito al minore tutte le informazioni che lo potessero adeguatamente rendere edotto delle future conseguenze, rischi e sviluppi conseguenti all’utilizzo del farmaco. E ciò ancor più se si tiene conto che la rettificazione di attribuzione di sesso è prevista solo per soggetti maggiorenni e che, trattandosi di atto dispositivo di un diritto personalissimo, la richiesta non può essere avanzata dai genitori del minore. Sull’eventuale contrasto tra la volontà del minore e quella dei genitori cf. a seguire all. 1. Nell’all. 2 si riporta una breve rassegna di giurisprudenza di merito.
    La complessità dei diritti e delle tutele esige che una scelta di tale peso non sia lasciata alla discrezionalità tecnica di una pur autorevole Agenzia. L’ipotesi di cura del disturbo del minore che si senta in difficoltà rispetto al sesso biologico attraverso la sospensione del suo sviluppo sessuale passa obbligatoriamente dal presupposto di un consenso che egli non è in grado di esprimere: per ragioni di età, di capacità, di problematiche psicologiche o psichiatriche che accompagnano il suo malessere. Ma per le medesime – e per ulteriori – ragioni esso non è delegabile a terzi. Alla giuridica incapacità di agire si affianca la condizione di palese disagio che può frequentemente riscontarsi, a causa di ‘patologie psichiatriche, disturbi dell’emotività e del comportamento’. L’opzione di fare ciò che corrisponde al migliore interesse del minore non può consentire, a fronte della dichiarata esigenza ‘di prolungare la fase di diagnosi e confermare la stabilità della patologia’, la sostituzione in una scelta che corrisponde a diritti personalissimi, non delegabili in quanto afferenti la natura e la caratteristica fisica della persona: la cui tutela supera i confini di una semplice autorizzazione amministrativa.

5. Per concludere. Se dunque, alla stregua di quanto fin qui osservato, si sommano:

    la sostanziale carenza di letteratura scientifica che attesti evidenze di efficacia e di sicurezza (bilanciamento rischi/benefici) di questo tipo di trattamento,
    la difficoltà di diagnosi delle DG e il loro controverso inquadramento “clinico-antropologico”,
    l’assoluta incertezza sul fatto che il blocco – seppur temporaneo – dello sviluppo puberale (livello corporeo) in un adolescente affetto da DG costituisca effettivamente una condizione “favorevole” alla risoluzione della difficoltà di strutturare la propria identità sessuale,
    la problematicità dell’ottenimento di un vero consenso informato da parte dei soggetti da trattare con la TRP, ovvero adolescenti, peraltro in condizioni psicologiche spesso difficili e alterate, permane il timore che, in contrasto con i migliori ed esigenti auspici applicativi del trattamento, peraltro ampiamente raccomandati dal CNB, la pratica clinica quotidiana degeneri (anche per carenza di risorse), finendo per ridurre la soluzione di un problema così complesso e decisivo per la persona alla banale somministrazione di una molecola, con un approccio del tutto insufficiente.Scienza & Vita e il Centro studi Rosario Livatino manifestano la propria disponibilità ad approfondire singoli aspetti che l’AIFA ed altre eventuali istituzioni ritengano di sollecitare, allo scopo che non venga trascurato nessuno dei delicati profili che presenta una materia così complessa.


Roma, 5 novembre 2018

Alberto Gambino                                                             Mauro Ronco

Presidente nazionale Scienza & Vita                        Presidente Centro Studi Rosario Livatino

 

Allegati
Alleg. 1 * Ipotesi di contrasto tra i soggetti coinvolti

L’eventuale contrasto tra le volontà dei soggetti coinvolti circa la possibilità o meno di somministrare il farmaco, sarà destinato a essere risolto con gli strumenti processuali previsti in caso di conflitto sull’esercizio della responsabilità̀ genitoriale. La normativa di riferimento rimanda agli artt 316 e 337 ter c.c. che disciplinano l’esercizio della responsabilità genitoriale nella fase fisiologica e in quella patologica del rapporto tra i genitori. Potrà infatti accadere che vi siano:

    rifiuto alle cure del legale rappresentante, in contrasto con il medico,
    diversità di volontà tra i genitori,
    volontà di genitori e minore di accedere a una cura non condivisa dal medico,
    disaccordo del minore con le indicazioni dei rappresentanti, rispetto al trattamento.

In caso di contrasto tra la volontà del minore e quella dei genitori, saranno questi ultimi a decidere, come accade per i trattamenti sanitari, e il minore potrà a quel punto aver voce solo attraverso la nomina di un curatore speciale, ai sensi degli artt. 78 e 79 cod. proc. civ. L’art. 78 cpc dispone espressamente che ‘Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto di interessi col rappresentante’ conflitto che sorge nell’ipotesi in cui il rappresentante sia portatore di un interesse incompatibile con quello del rappresentato. Tale conflitto è ravvisabile anche qualora l’incompatibilità delle rispettive posizioni sia solo potenziale. La nomina del curatore speciale prescinde da un’istanza di parte e può̀ essere disposta d’ufficio dal giudice, posto che l’art. 9 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, emanata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003 n. 77, stabilisce che, nei procedimenti riguardanti un minore, l’autorità̀ giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale che lo rappresenti in tali procedimenti motu proprio (Corte Costituzionale – Sentenza  n 83/2011). L’art. 316 cod.civ. prevede che, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può̀ ricorrere senza formalità̀ al Giudice indicando i provvedimenti che ritiene più̀ idonei. Il Giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, e anche di età̀ inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni. Nel difetto del consenso di uno dei genitori – e, quindi, in presenza di un conflitto genitoriale – è previsto il ricorso al Giudice nella veste procedimentale dell’art. 709-ter cod. proc. civ., ai sensi dell’art 337 ter, 3° comma del cod. civile. Solo ove si ipotizzi il rischio di un pregiudizio grave, si giustificherà la proposizione della domanda al Tribunale per i Minorenni dei provvedimenti ex art. 333 del codice civile. L’art. 38 disp. att. cod.civ. ha attribuito al Tribunale ordinario la competenza a pronunciare i provvedimenti limitativi della potestà genitoriale (art. 333 cod. civ.) esclusivamente nel caso in cui sia pendente, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o ex art 316 cc.

Nell’ipotesi, più grave, in cui il contrasto tra i genitori comporti la necessità di procedere alla limitazione o all’ablazione della responsabilità genitoriale, troveranno applicazione gli artt 330 e 333 cod. civ. che prevedono la possibilità di limitare o di rimuovere dall’esercizio il genitore che sia ritenuto responsabile di violazione della stessa o trascuri i doveri ad essa inerenti. Recentemente, la Corte di Appello Napoli, con decreto del 30 agosto 2017, ha riconosciuto pregiudizievole la condotta del genitore che non voleva sottoporre il figlio minore a dosi di richiamo di vaccini già somministrati. E’ stato così disposto l’affievolimento della responsabilità genitoriale di uno dei due (nella specie, la madre), lasciando integra quella dell’altro (il padre), limitatamente alla questione vaccini, ritenendosi più corretta la scelta paterna conforme all’opinione scientifica largamente dominante.
All. 2 * Giurisprudenza di merito su contrasto fra i genitori

– Trib. Milano, sez. IX civ., decreto 15 maggio 2014 (Pres. Servetti, rel. Rosa Muscio). Il curatore speciale può essere designato quando appaia necessario che sia una terza persona a rappresentare il minore, per la temporanea inadeguatezza dei genitori a prendere di mira e salvaguardare l’interesse primario del figlio e per la situazione di insanabile contrasto tra gli stessi nella lettura della realtà dei fatti.

– Trib. Milano, sez. IX, decreto 19 giugno 2014 (Pres. Servetti, rel. G. Buffone) Le scelte di tipo terapeutico che comportano un percorso continuativo di trattamenti sanitari rientrano in quegli «affari essenziali» per la vita del fanciullo che richiedono la concertazione dei genitori e, dunque, il consenso di padre e madre. In caso di conflitto si procede alla nomina del curatore speciale- – corretta la procedura ex art 709 ter. Il Giudice potrà in ogni caso scegliere tra l’una o l’altra delle posizioni espresse dai genitori in disaccordo. Naturalmente, poiché lo stesso accordo tra i genitori non è vincolante quando contrario all’interesse dei figli (art. 337 ter, c.c.), allora non può escludersi una decisione del giudice diversa da quella invocata dall’uno o dall’altro dei genitori.

– Tribunale Milano, 07 maggio 2013. Est. Buffone, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 8991 – pubb. 23/05/2013. La legge 10 dicembre 2012 n. 219, riscrivendo l’art. 38 disp. att. c.c., ha attribuito al Tribunale ordinario la competenza a pronunciare i provvedimenti limitativi della potestà genitoriale (art. 333 cod. civ.) esclusivamente nel caso in cui sia pendente, ‘tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o 316 del codice civile’.

– Tribunale di Roma, Sez. I civ, 16 febbraio 2017, ord. Nel caso di contrasto tra i genitori relativamente alle tipologie di cure da somministrare alla figlia, il giudice ha riconosciuto al ‘genitore più diligente’ il potere di prenotare gli esami e i trattamenti sanitari, secondo le indicazioni del pediatra e del SS, ammonendo il genitore dissenziente a far seguire le cure indicate e disponendo che, in mancanza verranno adottati provvedimenti di cui all’art. 709 ter clc

– Trib. Milano, sez. IX, 9 gennaio 2018 In pendenza del procedimento di divorzio, in caso di conflitto tra i genitori circa le vaccinazioni a cui sottoporre i figli, il Giudice può ordinare di sottoporre a profilassi i minori anche a fronte dell’opposizione di uno dei genitori il Giudice, nel caso di specie, ha accolto  le domande della madre dei bambini, ordinando che i minori fossero sottoposti a tutte le vaccinazioni obbligatorie e che, a spese del padre, fossero effettuati i più opportuni esami sierologici al fine di accertare l’eventuale immunizzazione dei minori, a seguito di malattia naturale.

– Nell’ipotesi, più grave, in cui il contrasto tra i genitori comporti la necessità di procedere alla limitazione o all’ablazione della responsabilità genitoriale, troveranno applicazione gli artt. 330 e 333 cc che prevedono la possibilità di limitare o di rimuovere dall’esercizio il genitore che sia ritenuto responsabile di violazione della stessa o trascuri i doveri ad essa inerenti. Recentemente, Appello Napoli- decreto 30 agosto 2017 – ha riconosciuto pregiudizievole la condotta del genitore che non voleva sottoporre il figlio minore a dosi di richiamo di vaccini già somministrati. E’ stato così disposto l’affievolimento della responsabilità genitoriale di uno dei due (nella specie, la madre), lasciando integra quella dell’altro (il padre), limitatamente alla questione vaccini, ritenendosi più corretta la scelta paterna conforme all’opinione scientifica largamente dominante.