04/04/2020

Coronavirus, lo psichiatra: “Serve una data per la fine dell’isolamento, non averla crea ansia”

Fonte: Agenzia DIRE del 03/04/2020

"Fare una previsione su quando potrà finire la quarantena può aiutare le persone a gestire meglio questo stato di tensione che vivono", dice lo psichiatra Tonino Cantelmi

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 Non solo la paura del contagio o il trauma di un caro che subisce il dramma della terapia intensiva, o ancor peggio la morte, ma anche il distanziamento sociale è un evento stressante e, come tale, è un fattore di rischio per la salute psicofisica delle persone. “Il cambio di stile di vita all’inizio può essere accettato più facilmente, ma nel tempo diventa molto stressante. Un vero fattore di rischio su cui le autorità dovrebbero riflettere è l’incertezza”. A dirlo è Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma.

“È vero che nessuno sia in grado di definire quando e come usciremo da questa situazione- continua lo psichiatra- ma fare una previsione può aiutare le persone a gestire meglio questo stato di tensione che vivono. Il fatto che ogni settimana ci si riaggiorni per la settimana successiva senza una proiezione, un qualcosa che ci dia una direzione, crea molto sconcerto. Tutti gli studi sull’isolamento dimostrano che le persone accettano l’isolamento abbastanza bene se sanno quando più o meno terminerà. Il generare incertezza eccessiva è un punto di rischio molto alto”.

Cantelmi è abbastanza sicuro che ci siano delle “proiezioni su cui attestarci. Non c’è nulla di male nel fare una previsione anche se si dovesse rivelare fallace, ma farebbe stare più tranquille le persone il sapere che c’è un tempo e che poi ne seguirà un altro”. Per supportare gli italiani l’Itci ha realizzato molte iniziative per contrastare la solitudine e il senso di precarietà dovute a questo periodo particolarmente difficile. Da quelle nazionali per gli adolescenti con appuntamenti pomeridiani, fino ad arrivare a un sostegno specifico dei pazienti in quarantena certificata.

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Coronavirus, rischio stigma per guariti, sociosanitari e parenti delle vittime
Fonte: affaritaliani del 03/04/2020

Il presidente dell'Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma Tonino Cantelmi ha riferito: "I guariti diventeranno la nuova casta. Stigma per sociosanitari, a rischio anche sopravvissuti e parenti delle vittime, il supporto sia nazionale"

"I guariti dall'infezione Coronavirus saranno la nuova casta, coloro che potranno permettersi di essere immuni, saranno i privilegiati e quindi verranno guardati con molta invidia. Invece, lo stigma riguarda tutti coloro che sono a rischio: le persone che lavorano in ambienti Covid, come gli operatori sociosanitari. Questi hanno già difficoltà a trovare case in affitto in questo momento". A dirlo Tonino Cantelmi, presidente dell'Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma e coautore, con Emiliano Lambiase, dello studio 'Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale.

"Ricordiamo che molti operatori sociosanitari sperimentano un isolamento ulteriore - precisa lo psichiatra - nel senso che non vivono con le loro famiglie e sono costretti a stare per conto loro. Alcuni di questi hanno creato dei gruppi e vivono nello stesso edificio. Nel Lazio ci sono delle strutture per disabili, ad esempio, ed alcuni operatori si sono autoconfinati lì. In qualche modo chi sta pagando un prezzo molto alto in termini di stigma sono gli operatori sociosanitari - ripete Cantelmi - che se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall'altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi. Non solo stanno svolgendo un lavoro enorme, ma devono gestire un trauma incredibile, perchè vedono morire persone. In aggiunta a questo, sono costretti a un isolamento affettivo e stanno in quarantena dentro la loro stessa casa".

Una fotografia abbastanza allarmante, quella scattata da Cantelmi, che tuttavia non viene dal nulla. "Abbiamo molti studi condotti nel mondo in situazioni simili al COVID-19, come la Sars o altre epidemie, che evidenziano come gli operatori sociosanitari impegnati in prima linea siano a rischio per la loro salute mentale e che nel tempo - continua Cantelmi - possono sviluppare un disturbo da trauma che si può manifestare negli anni successivi. Il disagio si concretizza in disturbi dell'umore e reazioni ansiose connesse a frammenti di vissuti traumatici che si riattivano durante i periodi successivi".

L'evidenza si ritrova nel recentissimo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association, basato su un'indagine svolta dal 29 gennaio al 3 febbraio e relativa alla salute mentale di 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti affetti da Covid-19 in 34 ospedali della Cina". I risultati non sono confortanti- si legge nello studio di Cantelmi - gran parte di essi riferisce di sperimentare sintomi di depressione (50%), ansia (45%), insonnia (34%) e distress (71,5%). Il personale infermieristico, poi, riporta sintomi particolarmente gravi e forse questo non sorprende, dato che sono maggiormente a contatto con i pazienti - sottolinea lo psichiatra - aumentando quindi il rischio di contagio, sono a più diretto contatto con la sofferenza e devono esercitare costantemente la compassione mentre contengono i propri sentimenti. Gli operatori di prima linea e quelli di Wuhan, epicentro dell'epidemia originale, hanno manifestato un carico psicologico maggiore rispetto agli operatori sanitari cinesi più lontani dall'epicentro".
 
Conseguenza negativa per la categoria degli operatori sanitari: lo stigma

Un altro studio rileva, inoltre, che durante "l'epidemia di Sars del 2003, gli operatori sanitari temevano di infettare la famiglia o gli amici e si sentivano stigmatizzati perchè erano in stretto contatto con pazienti malati. Hanno sperimentato uno stress significativo e a lungo termine. Paure simili stanno probabilmente contribuendo al disagio degli operatori sanitari impegnati ora in Italia, oltre all'ovvia preoccupazione di correre un rischio superiore alla media di contrarre Covid-19".

Dunque una conseguenza negativa inattesa per la categoria degli operatori sanitari è proprio lo stigma.  Circa il 20% degli operatori sanitari coinvolti nell'epidemia di Sars a Taiwan ha avvertito stigmatizzazione e rifiuto da parte del proprio vicinato. A Singapore - spiega Cantelmi - il 49% degli operatori sanitari durante l'epidemia di Sars ha subito stigmatizzazione sociale a causa del proprio lavoro. Allo stesso modo, le infermiere coreane che lavorano negli ospedali con pazienti con Mers-CoV sono state messe a distanza dai loro cari (ad esempio famiglia o amici) e gli è stato vietato l'uso di ascensori nei loro palazzi, e persino ai loro figli non è stato permesso di frequentare asili e scuole. Esistono anche alcune prove empiriche di stigma tra i principali operatori sanitari durante l'epidemia di Sars a Singapore".

Gli operatori sociosanitari rappresentano, a detta dello psichiatra, una delle categorie che necessità di supporto psicosociale immediato. "Il mio istituto è stato chiamato dalla Conferenza episcopale italiana per sostenere i cappellani ospedalieri. Quei preti che prestano servizio in ospedale e che frequentano le sale di rianimazione e luoghi affini, e che sono soggetti anche loro a un vissuto traumatico. Questo supporto deve essere esteso anche agli operatori sociosanitari". Nel dettaglio, gli effetti psicologici di questi traumi possono essere di due tipi: "Ci sono degli operatori che stringendo i denti vanno avanti, ma soffrono moltissimo e già presentano sintomi in acuto. Tuttavia, la maggior parte di questi soggetti presenterà sintomi nel tempo, nel quinquennio successivo. I dati dicono che se si intervenisse adesso i nostri operatori avrebbero un grande beneficio in termini di salute mentale subito, ma soprattutto nel futuro".
 
"Chiediamo di attivare un supporto psicosociale immediato a livello nazionale"

A rischio di sviluppare conseguenze psicologiche dall'emergenza Coronavirus sono anche altre categorie di persone: i sopravvissuti e i parenti delle vittime. "Coloro che hanno sperimentato la rianimazione, la morte in qualche modo, e poi sono chiamati a gestire il senso di sopravvivenza. Anche questi andrebbero aiutati subito. I parenti delle persone decedute, invece, devono essere aiutate ad elaborare il lutto, dal momento che sono venuti meno i riti: i funerali, l'accompagnamento e la consolazione. Anche questo è un evento ulteriormente traumatico", aggiunge il presidente dell'Itci. In verità a rischio per la salute mentale sembra essere tutta la popolazione in generale, sia per i fenomeni di isolamento e distanziamento sociale, che in relazione al trauma psicologico della paura di infettarsi.

"L'appello che abbiamo rivolto, inviando questo studio a tutte le autorità, è di attivare un supporto psicosociale immediato a livello nazionale. Innanzitutto per le categorie più a rischio, ovvero gli operatori sociosanitari coinvolti nel Covid, i parenti delle vittime e i sopravvissuti. Successivamente dobbiamo immaginare di fornirlo a chiunque ne abbia bisogno e in modo gratuito. Dobbiamo costruire una rete di persone disponibili ad offrire un sostegno psicosociale. Il mio istituto lo sta facendo, ma si potrebbe costruire una vera rete di intervento organizzando un coordinamento nazionale delle scuole di specializzazione di psicoterapia - propone Cantelmi - che mettano a disposizione i loro psicoterapeuti. Tutta l'Italia è in gioco e ci vogliono molte risorse - conclude - non sarà difficile per la Protezione civile attivare una rete di scuole specializzazione che forniscano elenchi di psicoterapeuti disponibili".